Le nuove Reti in Europa


Esattamente un anno fa, nel corso della sessione di luglio, il Parlamento ha approvato in prima lettura la mia relazione sulla modifica del regolamento che stabilisce i principi generali per la concessione di un contributo finanziario dell'UE nel settore delle reti transeuropee. Ovviamente, non si parlava solo di trasporti, ma è inutile sottolineare come questi fossero, e siano tutt'ora, la vera priorità politica dell'intero programma.
La proposta della Commissione essenzialmente mirava ad innalzare il contributo comunitario dal 10 al 20% per avere un effetto d'influenza ed attirare gli investitori privati su tre categorie di progetti: progetti ferroviari transfrontieri che attraversano le barriere naturali, come le Alpi e i Pirenei, progetti ferroviari transfrontalieri che mirano ad eliminare le strozzature chiaramente identificate ai confini con i paesi candidati, o progetti che concernono (come già è ora) sistemi satellitari. Secondo l'Esecutivo, un importo addizionale di 100 milioni di euro nel periodo 2003-2006 avrebbe dovuto essere assegnato alla linea di bilancio TEN, mentre 50 milioni di euro avrebbero dovuto essere recuperati all'interno delle linee TEN tramite una riallocazione delle risorse.
Le proposte sono coerenti con il Libro Bianco della Commissione sulla politica del trasporto europea per il 2010 e la sua comunicazione sull'impatto dell'ampliamento nelle regioni che delimitano i paesi candidati. Inoltre, sono in linea con il programma pluriennale indicativo (MIP) stabilito tra gli Stati membri e la Commissione per il finanziamento del trasporto TEN durante il periodo 2001-2006.
Di conseguenza, quasi la metà degli stanziamenti continuerebbe ad andare ai grandi progetti dell'infrastruttura approvati dal Consiglio europeo di Essen del 1994, mentre il 20% sarebbe riservato al programma Galileo ed il 30% rimanente sarebbe disponibile per le strozzature ferroviarie, i progetti di frontiera ed i cosiddetti sistemi intelligenti di trasporto.
Nella mia relazione, io ho presentato due categorie di emendamenti. In primo luogo, ho cercato di chiarire alcuni dubbi: ad esempio, quale fosse l'origine dei 100 milioni di euro da stanziare sulla linea di bilancio TEN, dato che il margine della Rubrica 3 non è assolutamente sufficiente e che d'altra parte non è politicamente sostenibile l'idea di finanziare le TEN attraverso una riduzione dei finanziamenti alle priorità parlamentari.
D'altra parte, ho tentato di essere anche propositivo presentando alcune modifiche che, secondo me, potrebbero aiutare. Ad esempio, ho chiesto alla Commissione di valutare le responsabilità degli Stati membri nella sotto-esecuzione, e sulla base di questa valutazione di presentare una proposta per semplificare le procedure e aumentare la collaborazione transfrontaliera tra gli Stati membri, così come ho inserito la sunset clause, ovvero la perdita dei fondi in caso di loro mancato utilizzo nell'anno num.2. Una misura forte e chiaramente provocatoria, ma che serviva a dare un segnale politico: il Parlamento europeo sostiene le TEN, le sostiene fortemente, e proprio per questo non è disposto a perdere altro tempo.
Per parlare di finanziamento nello specifico, essenzialmente io avevo avanzato due proposte. La prima era quella di prevedere l'inserimento dei capitali privati, secondo formulazioni da studiare ma comunque in partnership con il pubblico.
La seconda era una richiesta di aumento della dotazione di bilancio delle TEN attraverso una revisione delle Prospettive Finanziarie stabilite a Berlino nel 1999 e in scadenza nel 2006.
Questa era la situazione un anno fa.
Nel frattempo, e lo dico con rammarico, non è accaduto molto. Le due ultime Presidenze non hanno ritenuto opportuno affrontare il dossier fermo al Consiglio, anche nell'attesa delle conclusioni del Gruppo Van Miert. La Commissione esecutiva invece ha presentato una modifica della sua proposta dove a mio avviso mantiene i punti più qualificanti della nostra posizione.
La questione è aperta per il futuro. E il futuro deve essere nel corso del semestre di nostra Presidenza, non solo perchè i tempi sono maturi, ma anche perchè è una carta troppo importante per il futuro dell'economia italiana, come tutti prima di me hanno sottolineato, per poterci permettere di non giocarla.
Io ritengo che, a prescindere dalle proposte presentate dal gruppo Van Miert, ci siano tre punti fermi da tutelare:

1. aumento del contributo finanziario comunitario al 20%

2. aumento della dotazione finanziaria delle TEN se non adesso almeno nelle prossime Prospettive Finanziarie 2006-2013 (passando da 4.6 a 9 miliardi di euro)

3. identificazione di uno strumento che permetta alla Commissione di monitorare lo stadio di sviluppo, o di non-sviluppo, dei vari progetti dotandola anche dell'autorità per "richiamare" all'ordine lo, o gli, Stati che dovessero "fare ostruzionismo".

Permettetemi di fare un'ultima proposta.
Abbiamo visto che tra le categorie che beneficeranno di un aumento del contributo comunitario ci sono i progetti ferroviari transfrontalieri che mirano ad eliminare le strozzature chiaramente identificate ai confini con i paesi candidati.
La Comunicazione (2001) 437 def. del 25 luglio 2001 definisce il concetto di "regione frontaliera" e ne identifica 23 all'interno dell'attuale Unione Europea. La definizione attualmente in vigore è "regioni di livello NUTS II che confinano (per terra o per mare) con i paesi candidati attualmente coinvolti in negoziati di adesione in cui rientrano i programmi transfrontalieri INTERREG III A per il periodo 2000-2006"; in Italia sono state identificate Veneto e Friuli Venezia Giulia.
Al momento attuale, le regioni frontaliere godono di una serie di interventi atti ad agevolare la transizione e a promuovere il sostegno pubblico a favore dell'ampliamento. È evidente che a partire dal 2004 questa comunicazione non sarà più valida. Con l'ingresso di 10 Stati su 12, le "attuali" regioni frontaliere divengono parte integrante del mercato interno, mentre la definizione va ad essere ricoperta da altre zone: ovvero, regioni dell'Ungheria (confine con la Romania) e regioni della Grecia (confine con la Bulgaria).
La Presidenza italiana a mio avviso potrebbe portare avanti un'azione su tre fronti:

1. cambiare la definizione, ampliandola a "regioni di livello NUTS II che confinano per terra o per mare con paesi candidati", eliminando la necessità di avere negoziati già in corso;

2. continuare ad appoggiare la candidatura dei Paesi dei Balcani occidentali, al di là della Croazia che ha presentato la sua richiesta nel febbraio scorso;

3. ottenere, ma dovrebbe essere quasi automatico, il riconoscimento dello status di "regione frontaliera" per tutte le regioni che si affacciano sul Mare Adriatico.

In questo modo l'Italia, evidentemente in phasing-out dai Fondi Strutturali, si assicurerebbe, fino al giorno dell'adesione dell'ultimo degli Stati balcanici, un sostegno finanziario comunitario in vari settori non indifferente.